Simili, per quanto possibile
- Astra
- 20 set 2022
- Tempo di lettura: 4 min
A dodici anni gli hanno regalato il Nintendo, uno di quegli aggeggi con cui i suoi compagni giocavano per ore. Non gli interessava granché, ma si mise comunque un bel sorriso e ringraziò i nonni con un grande bacio. Fu il natale più triste di sempre, non gli venne regalato nemmeno un libro. Nella sua camera non ce ne stavano più, al che aveva iniziato ad ammucchiarli sotto il letto, nei cassetti dell’armadio, sulla scrivania. La madre lo rimproverava sempre perché non faceva altro che leggere e scrivere, scrivere e leggere. Scriveva di quel che leggeva e leggeva di quel che scriveva, senza soluzione di continuità. La carta sotto le dita era ciò che più cercava, così passava le ore nelle librerie o nelle biblioteche anche solo a sfiorare le pagine. Solo dopo ciò cominciava a leggere, con attenzione ed intento completi. Leggeva di amore, di morte, di guerre e di rinascite. Si perdeva in universi capovolti e realtà parallele. Non erano i classici la sua guida, non ne era un amante, ricercava piuttosto piccole perle nascoste, quelle che nessuno guardava o tantomeno notava. Trasferitosi a venticinque anni nel suo appartamento la prima cosa che fece fu riempire tutte le pareti di librerie, e anche il camino piano piano si tramutò in una piccola grotta per coste ammaccate. Sotto il tavolo della cucina i piedi non si potevano allungare, a meno che non si volesse incappare in una copia di Jane Eyre rilegata d’oro. Non aveva bisogno d’altro, e altro non aveva se non quaderni pieni e libri scarabocchiati, evidenziati, tanto amati eppure spesso maltrattati. Il lavoro gli dava il minimo indispensabile per vivere dignitosamente e un paio di occhiali la facoltà di vedere oltre un metro. Di persone nella vita non ne aveva, non degne di nota -- che non fossero di carta, s’intende. Ogni tanto gli era capitato di uscire a cena con una collega, una tipetta bionda tutta pepe ma con poco sale in zucca. Doveva essere interessata a lui, ma come poteva farle sapere che non sarebbe mai funzionata? Le consigliò un libro, Due di picche, più facile di così non poteva essere. Anche per una poco sveglia come lei. Se lo lesse mai non ebbe possibilità di saperlo. Venne licenziata in tronco il giorno seguente. In effetti erano giorni che lei e il capo bisticciavano, giorni che lei si comportava in modo piuttosto bizzarro. Aveva dei tic inspiegabili e stava interi minuti a fissare il vuoto. Poi scuoteva la testa e si rimetteva a digitare email al computer come niente fosse successo.
Di ritorno a casa, quello stesso giorno, lo aveva accolto un edificio in fiamme. Il suo. Non aveva versato una lacrima, non sarebbe bastato per riportare indietro venti e più anni di vita scritta e rilegata ad arte. Aveva vissuto quindi per qualche mese a casa dei genitori, rileggendo libri che, per quanto lo riguardava, erano vecchi di secoli. Si era convinto poi ad andare in biblioteca, ma non era servito a molto: più idee gli venivano in mente durante la lettura, più soffriva nel non poterle annotare su i margini. Lentamente era scivolato in uno stato che tanto si avvicinava alla depressione. Già scostante ed asociale, era finito per rintanarsi nell’opera che doveva essere ricostruire il suo palazzo di carta, raso al suolo dalle fiamme.
La sua vita venne nuovamente stravolta: credeva sarebbe stato un giorno come gli altri, invece vicino alla sua postazione, al lavoro, riposava una busta da lettere. Recava il suo nome e cognome accanto all’indirizzo dell’ufficio.
“Caro Spencer,
sono in cura in clinica psichiatrica. Sono piena di farmaci da far schifo e riesco a malapena a tenere la penna. Meriteresti più spiegazioni ma ora non posso dartele, però ho deciso di farmi perdonare: mia zia lavora in una libreria importante del centro – la Starfield – e ha un posto per te. Scappa da questo ufficio di merda e ricomprati tutti quei libri (in alternativa rubali).
Buona fortuna,
Lily”
La sua vita aveva fatto una capriola e nel volteggiare avevano iniziato a spuntare violette un po’ ovunque. Si era aperta un’immensa porta, un portone addirittura. Alla fine aveva trovato il modo per essere circondato di libri, più di quanti avrebbe potuto immaginare, magari desiderare. Inoltre, a furia di disporre, cercare, riporre, era venuto a contatto con i titoli più disparai. Aveva compreso così di non aver mai letto qualcosa di interessante proveniente dal Medioriente, o che un giallo, se scelto accuratamente, avrebbe saputo prenderlo tanto quanto Saint-Exupéry.
Poi c’erano i clienti, i turisti, i bambini, gli anziani, che lo cercavano con gli occhi sorridevano quando i loro sguardi combaciavano. Avevano tutti la stessa espressione: le labbra schiuse, gli occhi verso il basso, come rilassati. La maggior parte era paziente, gli parlava sopra e lo seguivano con fiducia. Grazie a lui, qualche cliente occasionale era diventato abituale. Aveva avuto l’opportunità di fare amicizia con individui più bizzarri e più monotoni. Lo aveva stupito che tutti avessero una cosa in comune, ovvero la facilità di lettura. Perché Spencer comprendeva le persone a seconda di come si rapportavano ai libri e alle loro storie. Aveva compreso che, in fin dei conti, tra tenere in mano un libro ed avere di fianco una persona non vi sono molte differenze. Entrambi hanno un potenziale indefinito e quindi infinito. Nulla è loro precluso, nulla vieta che possano suscitare o smuovere o ricordare. Entrambi sono pieni e forti, hanno una bella copertina e un bel contenuto. Oppure una sola delle due cose, o forse nessuna. È così che Spencer iniziò a circondarsi di persone al pari di come faceva con i libri.
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