Fianchi
- Astra
- 20 set 2022
- Tempo di lettura: 2 min
Le piaceva il modo in cui sentiva le proprie interiora ondeggiare nel momento in cui faceva scattare la serratura e lui passava la soglia. Provava un’anticipazione tale da credere di potersi saziare solo con questa, nient’altro. Poi sentiva le sue mani su i fianchi, scacco matto. Perché in un certo senso essere sotto il controllo altrui le permetteva di lasciare andare i comandi. Si scioglievano tutti i muscoli e si allentavano i tendini, almeno per due o tre decine di minuti. Subentravano le prime fatiche, tensione al collo e alle cosce, nonché tra le gambe. Era quello il momento in cui sapevano di dover iniziare a togliere qualcosa, una maglietta di troppo, un paio di jeans sgradevoli al tatto. Piano, con cura e dolcezza, si seguivano ed inseguivano in moto perpetuo, alternando una risata ad un gesto audace. Non c’era spazio alla vista per qualcosa di diverso dagli occhi, e per l’udito il respiro affannoso era la melodia più agognata. Le braccia prendevano ad intrecciarsi quasi di prepotenza e con la precisa volontà di ingarbugliarsi, come a voler inasprire le difficoltà dell’amplesso, una guanto di sfida reciproco. Nella complessità risiedeva il piacere della risoluzione, quando tutti i pezzi andavano al loro posto e alla fame feroce si sostituiva un gentile assaggiare, rimestare e poi ancora da capo. Sotto le palpebre si accendevano luci di giostre, accompagnate da capogiri, mentre il tempo si dilatava all’infinito, e così lo spazio. La terra si prendeva ciò che le apparteneva: l’atto di procreazione. L’istinto è quello di generare tramite la scomposizione e la smaterializzazione, l’unione e la separazione nella loro forma più prosaica. L’uomo che vi resiste è uomo perso nel peso della realtà, nella mancata beatitudine di un gioco di prese.
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