Antica ribellione
- Astra
- 5 apr 2022
- Tempo di lettura: 8 min
Cosce, spalle, seni in vista come se fosse la normalità. Quanto vorrei che lo fosse, almeno avremmo una cosa in meno per cui dover lottare: la decenza ogni tanto mi ispirava il degrado della creatività. Se i bodyguard - che facevano da spartiacque tra chi sarebbe entrato e chi no - avessero sentito cosa mi frullava per la testa mi avrebbero esclusa a priori dalla fila. Non c'è spazio per i partecipanti alla vera rivoluzione: qui si operano solo rivolte finte, come sono finte le cariche contro la polizia di giovani che hanno solo voglia di mettersi nei casini, perché mamma e papà non li amano abbastanza e non sanno come far loro capire che hanno bisogno che lo facciano. Ero uno di quei ragazzini.
La fila si accorciava sempre di più, e noi rimanevamo in silenzio, seguendo regole di ammissione non scritte, tuttavia note a tutti.
I bassi si facevano sempre più insistenti, e già avevo un sentore di nausea. La chiamai emozione per non vergognarmi con me stessa. Avanzando ancora, mi feci una coda. I capelli, piastrati giusto un'ora prima si stavano gonfiando per l'umidità, dura a morire.
Il novantanove per cento di noi di sicuro voleva morire, solo non sapeva come o di cosa. Magari dentro al capannone qualcuno era già morto, di overdose, coma etilico o semplicemente di disperazione.
Arrivammo in testa alla fila, il bodyguard ci fissava con i suoi occhi neri, le mani dall'incarnato pece stringevano la cartellina con i nomi degli invitati. Gli consegnammo i nostri inviti ed iniziò ad ispezionarci. Camilla gli piaceva, era evidente, la guardava con un ghigno. Camilla piaceva a tutti, conosceva l’arte della compiacenza, soprattutto degli uomini, soprattutto di quelli ricchi a cui piacevano quelle giovani. Era il suo modo per avere sempre vestiti di marca, di modo che le malelingue avrebbero smesso di darle della stracciona. In compenso le davano della puttana, già più accettabile. lo semplicemente le stavo accanto, ed era la migliore amica che mi potesse capitare, anche se provavo invidia per il suo bel corpo, sodo e slanciato, e dell'uso menefreghista che ne faceva.
Riuscimmo ad entrare, e non appena varcammo l’ingresso ci venne l'impulso di esultare come due bambine al parco divertimenti. Di fatto quello che ci aspettava poteva essere chiamato montagna russa.
La cosa che per prima ci travolse fu la cortina di fumo dolciastro che aleggiava sopra le teste della folla in delirio, ondeggiante tra luci stroboscopiche e beat house. C'era un sentimento di abbandono generale che si era abbattuto su di noi, che ci guardammo improvvisamente angosciate e forse deluse.
"Myan,” mi riscosse Camilla, “tutto okay?”, anche se era lei ad avere il viso pallido e gli occhi sgranati.
No, avrei voluto dire. Cosa ci facciamo qui? Ne abbiamo già fatte abbastanza di stronzate. Ho paura che questa sera ci resti secca di ecstasy.
Il tempo di girarmi per risponderle e lei era persa. Aveva seguito quel gruppo di ragazzi sbronzi per tirare su abbastanza da comprare due drink? Oppure era stata trascinata in pista da una conoscenza che aveva perso di vista? Non lo sapevo e non l’avrei scoperto quella sera.
Camminai rasente le pareti, scalvalcando membra avvinghiate in godimenti da quattro soldi, banali, quasi patetici. Viaggiavo tra disgusto ed invidia. Persi la linea delle pareti e mi trovai in pista, dove l’odore di erba era più forte. Gravitavo verso il centro, e più avanzavo meno c’era inibizione nei corpi vicini. Io, che mi sentivo decisamente fuori posto, così vestito, iniziai a sfilarmi la camicia. Mi intirizzii tutto non appena un paio di mani mi accarezzarono il petto. Non erano volgari, non cercavano angoli proibiti, semplicemente in ammirazione sfuggivano tra gli spazi degli altri corpi, anch’essi ondeggianti, anch’essi in delirio. Mi lasciai andare all’universalità della gioventù bruciata. Non mi vergognavo dei tagli su i polsi, ancora caldi perché non disinfettati, né della mia natura androgina. Semplicemente ero ed esistevo in funzione di quella musica e di quella libertà.
Dopo un certo periodo di tempo, che non avrei saputo quantificare, aprii gli occhi e la mia attenzione venne catalizzata da un ragazzo vestito di nero, l’arcata delle sopracciglia rimarcata da brillantini sticker e un piercing, simile a quello che aveva al labbro inferiore. Un pezzo di Rihanna esplodeva intorno. Tutto quel brillare mi stordì quasi abbastanza perché non vedessi la mano che mi stava porgendo. Era vuota, me ne stupii, mi aspettavo di dover rifiutare il solito pusher che crede di averti inquadrato, o di essere furbo quanto basta da fotterti i pochi soldi che hai rubato a mamma e papà. Era giovane, forse più di me, che a vent’anni ne dimostravo quindici. Però in altezza mi raggiungeva, e aveva le mani grandi, potei constatare. Fu il fumo passivo, o magari la volontà di mettermi nei guai, che mi fece accettare quella richiesta tacita. Afferrai la mano che mi porgeva, mi feci trascinare da qualche parte, che poi si rivelò solo il bar.
“Posso offrirti una cosa?”
Annuii e lo lasciai fare due nomi al barman. Non mi intendevo per niente di drink, e rimasi indifferente davanti alla sostanza scura che mi venne servita. Feci per portarmi il bicchiere alle labbra, ma il suo sguardo su di me non mi convinceva. Gli porsi l'alcolico: "Sono solo prudente". Comprese immediatamente, ed allora venne il mio turno di piantargli gli occhi addosso mentre il suo pomo d'Adamo faceva su e giù. Me lo restituì, un ghigno beffardo ad accompagnarlo, e così bevvi.
“Sei molto bello,” ricordo avesse esordito in questo modo.
“Bella,” l’avevo corretto.
“Bella,” aveva ripetuto. Prese un sorso dal sul bicchiere: “È la tua prima volta qui?”
“Si. Anche per te?”
“No, no. Sono un cliente abituale.”
Rimase in silenzio ad osservare la mia reazione. Feci finta di infischiarmene della sua abitualità, quando invece l’unica cosa a cui stavo pensando era- “Conosci le stanze?”
Non era un invito, perlopiù non ero andato lì per scopare. Non ero capace e non mi piaceva. Ero solo curioso di entrare nel mondo che ai più veniva negato.
“Si,” rispose con soddisfazione. Doveva essere un tipo che amava suscitare l’ammirazione altrui. “Vuoi vederle, bella?”
“Okay. Ma solo vederle.”
“Certamente.”
Afferrai di nuovo la sua mano, mi ci aggrappai quasi. Si muoveva naturalmente tra la folla, come se fosse stata casa sua, come se gli appartenesse. Affascinante, pensai.
Si accostò ad una porta che recitava “Staff Only”, estrasse una chiave che teneva appesa al collo e diede due mandate. La porta si aprì e inosservati la varcammo. Davanti a noi si srotolava una rampa di scale, come quelle dei film horror prima che l’oca bionda venga accoltellata a morte. Che morte stupida, pensai, mentre scendevo gli scalini.
Lo sconosciuto mi guardava da basso in su, con gli occhi velatamente famelici. Ebbi un momento di cedimento, mi venne da tornare indietro, eppure arrivammo alla fine. Un’ultima porta davanti. Tremavo.
“Prego,” mi fece segno, “A te l’onore.”
Misi la mano sulla maniglia di ferro, lo guardai, aprii. Mi aspettavo quello che tutti si immaginavano: un immenso festino, droga e prostitute, e nessuno più grande dei venticinque, trent’anni. Non era un mondo dove adulti in età da genitore potevano entrare. Sarebbero stati cacciati fuori a suon di sputi e bestemmie.
Tuttavia mi aspettava uno studio, di insolita grandezza, diviso in spazi non ben definiti. Tutti i presenti si voltarono verso di noi, mentre il mio accompagnatore mi portava al centro della stanza. Sulla sinistra c’erano tre ragazze, libri alla mano, che sedute su una scrivania discutevano di qualcosa a voce bassa. Portavano delle strane tuniche, candide e sformate, una corda attorno ai fianchi. Alle loro spalle una libreria lunga e piena di titoli vecchi, usatissimi a giudicare dalle coste.
Dalla parte opposta un biliardo, una coppia che fino a poco prima si baciava appoggiata al tavolo in cui troneggia solo la palla bianca, al centro. Per la stanza erano sparse poltrone, divanetti e tavolini e ancora fiori, carte, fish da poker. Non riuscii a decifrare a che cosa servisse un ambiente del genere in un luogo tanto degradato: ero per forza bloccato in un trip, uno di quelli in cui vedi le cose in modo chiaro anche se sono assurde.
Il ragazzo si guardò intorno: “Dove sono Trilly e Memole? E Roma dove si è imbucata?”
Nessuno rispose, mi accorsi che erano troppo intenti a studiarmi. “Oh, cagatemi. La bellezza qui ve la presento dopo.”
Le tre ragazze vestite di bianco si fecero avanti, si disposero a semicerchio davanti a me. Il silenzio era tombale. “Vi ho detto dopo,” insisté, frapponendosi con un braccio. Le tre lo guardarono, di nuovo. Riconfermai la similitudine con un film dell’orrore.
“Va bene, ho capito.”
Con un sospiro salì in piedi su una delle poltrone al centro della stanza, poi mi fece segno di avvicinarsi. “Popolo dell’Antica Ribellione,” alzò la voce in modo spropositato per sole sei persone, “Vi presento…”
“Myan.”
“Myan! Grandioso, grandioso,” poi si chinò, “Io sono Jay.”
“Jay?”
“Jay. Myan si unirà a noi, se lo vorrà. È stata proprio un’outsider lì fuori.”
“Gesù, qualcuno gli metta una ciabatta in bocca.”
Qualcuno aveva fatto il suo ingresso alle nostre spalle.
“Roma, Roma, Roma.” iniziarono come a tubare le tre in tunica bianca. Gettarono a terra i loro libri, che tenevano da prima chiusi contro il petto, e accorsero. Io ero sempre più confusa e volevo andare via. In aggiunta realizzai solo in quel frangente di aver perso la mia camicia e di essere stato per tutto quel tempo a petto nudo. Cercai di darmi un tono, anche se paragonata ai soggetti oltre la rampa di scale potevo definirmi in tiro.
Roma, questa donna di un fascino fulminante, si fece avanti, il vestito smeraldo a farla sembrare un’apparizione e i tacchi che scandivano ogni suo passo. Si fermò per baciare le sue colombelle, tutte e tre, tutte sulla bocca, in modo che non sapevo se essere materno o sensuale. Per un attimo desiderai di essere al posto di una di loro. Jay al mio fianco era sceso dalla poltrona, guardava la bella Roma e io ero quasi sparita per lui. Sentii qualcosa come gelosia, almeno finché non si fece vicina, fino a due passi.
“Myan, splendore. Ti do il benvenuto nel rifugio dell’Antica Ribellione. Immagino tu abbia molte domande.”
I capelli morbidi le cadevano lungo le spalle, le accarezzavano il seno, e le labbra scarlatte accennavano un sorriso. Eppure io sapevo nascondesse qualcosa.
Non nascondevano niente. Quello era un semplice covo di intellettuali che si occupavano di creare scompiglio tra le fila di una società troppo ordinaria. Intortavano politici in qualche scandalo, truccavano voti per la legalizzazione delle droghe leggere, distribuivano preservativi alle prostitute e facevano sparire bambini maltrattati per piazzarli in mano agli assistenti sociali, senza passare dalla polizia o da quell’iter inutile che quelle creature le condannava ad un futuro ben più infernale del loro presente. Erano i giustizieri odiati da tutti, che si muovevano in una zona grigia, tra il morale e l’immorale, un mondo che faceva assolutamente per me. Scoprii tutto piano, guardando dalla serratura, prendendo sempre più fumo passivo e sbucciandomi le ginocchia a furia di saltar giù dalla finestra della mia stanza, pur fuggire lì, a notte fonda. Ma andava bene così, potevo fare qualcosa che fosse almeno vagamente grande, che mi permettesse di mandare a fanculo i miei genitori come si deve, almeno per qualche sera al mese.
Ci si ritrovava nelle stanze, si dissertava sulla prossima mossa, quasi al modo di cui si parla di teorie filosofiche durante una sbronza.
Lì alcol e droghe pesanti non potevano entrare. Il massimo erano gli spinelli di Tilly, questa tizia pelata, sulla sessantina, che non si capiva come fosse sopravvissuta lì dentro.
La sera che conobbi il rifugio dell’Antica Ribellione mi risvegliai sotto al bancone del bar, tra le sirene della polizia e di un’ambulanza. Fecero irruzione, mi sollevarono pensando avessero chiamato per me. Avevo dimenticato qualcosa, me lo sentivo. Era Camilla, cazzo, ci avevo preso. La seguii in ospedale, tenendole la mano, e mi resi conto di averci visto giusto quando, appena qualche ora prima, avevo previsto che l’avrei persa per un po’ di ecstasy.
L’angolo di Astra, retaggio di Wattpad
Non so esattamente cosa volessi dire con questo racconto. Forse sono solo tornata incazzata da una manifestazione.
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